Venezia 1988, una serata di calcetto per beneficienza, c’era Maradona, Sacchi, credo Laudrup, Ciccio Graziani e tanti altri.
Io a guardare accompagnando un amico fotografo.
Finisce la partita e si fa la cosa più normale in Veneto, si va in Osteria. Solo che poco dopo entra pure lui, Diego Armando Maradona accompagnato da quel marcantonio di Andrea Carnevale. Subito dietro di lui vengono chiuse le porte del locale per tenere fuori la folla ce lo segue. Siamo solo io e loro due, più lo staff che sta in disparte. Diego si siede con me, dice che deve andare a cena ma non ha voglia, mi chiede se gioco a pallone e cosa si mangia e beve da quelle parti, in quell’umido magico angolo d’Italia. Beviamo, parliamo un po’ e poi scambiamo due palleggi con una pallina da tennis dai due lati del tavolo. Si diverte e mi dice che sono bravo. STOP. RIAVVOLGI IL FILM.
In realtà dal momento in cui è entrato nell’osteria deserta ha riempito lo spazio come fosse grande dieci metri e io sono rimasto paralizzato come uno stoccafisso. Eravamo davvero in quattro lì dentro ma io ero incapace di pronunciare una sola parola, di farmi fare l’autografo o una foto insieme. Al museo delle cere si muovono di più. Lui ha preso qualcosa che non ricordo, forse una birra, ha salutato e ha pagato pure le nostre di birre, questo lo ricordo bene perchè lo ha fatto di tasca sua, non ha fatto pagare uno dello staff. Io non so fare i palleggi nemmeno con la palla di spugna gigante. Però è divertente sognare con l’uomo che ha fatto sognare il mondo.